Siciliano doc, precisamente di Acireale, Simone Strano è l’executive chef del Grand Hotel Faraglioni di Aci Trezza. Dopo una formazione alberghiera tutta isolana (frequenta l’istituto a Giarre), inizia la sua carriera lavorativa all’estero, in Svizzera, dove ci rimane per sei anni (Silence Hotel Wengenerhof a Wengen, Padrino a Lucerna, Rialto e Hotel Alpenland a Gstadd). Il rientro in Sicilia avviene nel 2009 dove lavora a La Capinera di Taormina e all’hotel 5 stelle lusso El Jebel. Segue un passaggio di nove anni a Roma a Palazzo Montemartini per poi confermare la scelta di tornare ancora in terra natìa – dove fonda anche una scuola di cucina “Chef con la Coppola” con altri tre cuochi siciliani – e approdare al Grand Hotel Faraglioni dove presta servizio dal 2022: «Non cercavo lavoro, volevo fare solo consulenze, però mi sono detto: “Se la proprietà vuole investire su di me, resto. Ed eccomi qui».
Eppure, per uno chef italiano che inizia a lavorare all’estero, tornare e ingranare in un contesto completamente diverso può essere faticoso.
Cosa vuol dire cucinare per lei?
Sono cresciuto in campagna, a nove anni ero già dietro ai fornelli di casa. Cucinare è pace, valorizzare un prodotto senza bistrattarlo, ma dare valore alla sua semplicità: una patata o un broccolo buoni bolliti al momento, senza troppe pretese o troppi processi per renderlo appetibile.
Come si è sentito quando è rientrato in Sicilia dalla Svizzera?
Frustato.
Come mai?
Perché qui c’è ancora poca cultura rispetto a determinati prodotti o procedure.
Ci faccia un esempio.
Spesso chiedevo il timo limonato e mi portavano la maggiorana o il timo, dicendomi che fosse la stessa cosa e che andava bene. Un fornitore magari non ti chiama per avvisarti che la merce arriva più tardi. Abbiamo l’oro in mano e non lo sfruttiamo.
In Sicilia che vita conduce la ristorazione di lusso?
Per me il lusso non è quello che si intende per ristorazione, come si dice “gourmet”, lusso significa provare qualcosa di locale che non si può provare o avere nel resto del mondo. Si dovrebbe lavorare molto sul prodotto, quindi, è molto difficile. Soprattutto in Sicilia.
Cosa intende?
Siamo indietro, pensiamo di dare un prodotto internazionale che costa, ma gli altospendenti, vogliono trovare prodotti semplici, locali, quelli che mangia il pescatore o il contadino. Dovremmo tornare alle origini con una visione diversa.
Ma non dovrebbe essere già così adesso, dove qualità e chilometro zero significano anche risparmio?
Sì, però in Sicilia, nonostante ci siano grandi prodotti locali, alcuni non possono essere certificati.
Come mai?
In albergo devi dare uno standard, cambiare menu e avere sempre a disposizione i prodotti, e il piccolo contadino non può garantire certi volumi di produzione. Una piccola osteria, per esempio, tutti i giorni fa la spesa con quello che trova fresco ogni giorno.
Quindi, in Sicilia c’è un ritorno alla cucina popolare delle trattorie?
Sì, ma sono poche quelle che sanno lavorare la materia prima bene. Alcuni la usano e la rovinano.
Finto risotto di Simone Strano
Come si pone, in questo contesto, lo street food siciliano?
Benissimo, ha successo, anche se pure qui bisogna sempre fare i conti con la qualità della materia prima: esistono anche realtà che usano materie prime di scarsa qualità e fanno delle loro attività solo un fatto di business.
Tornando al fine dining, invece, qual è il target del suo ristorante?
Persone del posto e stranieri come inglesi, francesi, americani. Non abbiamo un target limitato all’età.
Nel suo menu di pesce propone anche l’astice flambé, come mai questa scelta che ricorda gli anni Ottanta in cucina?
La metodica del piatto piace ai nostri clienti locali, piace questo tipo di cucina a vista, fanno video, foto: apprezzano lo show e quando gli stranieri vedono altri clienti che lo stanno mangiando, lo richiedono.
Ha ancora senso, oggi, la cucina alla lampada?
In base a dove sei. Se ci si trova in montagna, di sera, proporrei la fonduta, per dire, al mare no, ovviamente.
Terrazza Grand Hotel Faraglioni
E ha una predilezione per uno chef in particolare?
Mi piace molto Antonino Cannavacciolo. Ho conosciuto, Bottura, Uliassi, Cedroni, secondo me Cannavacciuolo è imbattibile come persona e come cucina.
Perché?
È genuino, molto tecnico, ma la sua è una cucina bella, buona, affettuosa, accogliente. E poi è uno chef completo, può realizzare piatti da trattoria come piatti gourmet.
Parliamo del personale in sala e in cucina. Riscontra dei problemi nell’assoldare gente?
Sì, è dai tempi del Covid ormai che la gente ha capito che il tempo è indispensabile e questo lavoro, di tempo, te ne toglie tantissimo. E poi, molti lasciano questo lavoro perché non ottengono la giusta retribuzione per il tempo che lavorano.
© Gambero Rosso SPA 2025
P.lva 06051141007 Codice SDI: RWB54P8 Gambero Rosso registrazione n. 94/2021 Tribunale di Roma
Modifica impostazioni cookie
Privacy: Responsabile della Protezione dei dati personali – Gambero Rosso S.p.A. – via Ottavio Gasparri 13/17 – 00152, Roma, email: [email protected]
Resta aggiornato sulle novità del mondo dell’enogastronomia! Iscriviti alle newsletter di Gambero Rosso.
© Gambero Rosso SPA – Tutti i diritti riservati.
Made with love by Programmatic Advertising Ltd
Made with love by Programmatic Advertising Ltd
© Gambero Rosso SPA – Tutti i diritti riservati